TERRITORIO

Il nostro Borgo ha origini antichissime: secondo Nicola Gabiani, nell’anno 89 a.C. esisteva già un sobborgo denominato Monterainero, che prendeva nome dalla vicina collinetta nel settore orientale della città. Qui sorse il castello omonimo, che Ferdinando Gabotto riteneva il più antico della città. Gianluigi Bera suppone che il toponimo cela il nome personale Rainerius, riconducibile al Longobardo Rainhart, appartenente forse ad un personaggio insediatosi in periodo molto antico.

Il sobborgo prosperò e si ingrandì ai due lati della via francigena che continuava in città con la contrada maestra.

La prima costruzione religiosa nel Borgo fu la chiesa di S. Antonio di Valbrenta con convento ed ospedale annessi: queste costruzioni erano ubicate a pochi passi fuori della cerchia di levante delle mura romane ed a sud-ovest di Monterainero, nella valletta di Valbrenta (l’odierno Corso Dante). Si sa che già esistevano nel 741 ed erano dedicate a S. Antonio abate. L’ospedale si occupava di portare conforto ai contagiati del male, detto il fuoco di S. Antonio.

Nel 1288 le costruzioni passarono all’ordine di S. Agostino sino al 1650, nel quale anno vennero completamente distrutte dagli Spagnoli.

A circa un secolo di distanza, probabilmente intorno alla metà del secolo IX, nacque la Chiesa di Santa Maria Nuova: infatti, un documento del Cartario Astese dell’anno 1009 cita la nostra chiesa come una costruzione allora già esistente da tempo. In quell’atto, si tratta  di una pezza di “coltivo” giacente presso la chiesa di Santa Maria detta Nuova (prope Ecclesiae sanctae Mariae, quae dicitur Nova), da non confondere con la più vetusta chiesa della Cattedrale dedicata anch’essa alla Vergine Maria.

Nel 1132 il vescovo Landolfo ne investì della reggenza i Canonici Regolari di S.Agostino, chiamati Mortariesi dalla loro Chiesa Madre di S. Croce di Mortara. Ad essi venne dato anche il titolo di Priorato, titolo che rimase per quasi sette secoli, vale a dire fino al 1798, quando venne mutato nel titolo di arciprete con la nomina del primo parroco del clero secolare.

I Canonici Mortariesi, costruirono subito un modesto ma confortevole monastero, che servì loro da abitazione fino all’anno 1591, nel quale venne abbattuto e sostituito sullo stesso sedime da un altro più grandioso (questo sussiste tutt’ora ed è parte integrante del vecchio ospedale civile).

Accanto al monastero costruirono una struttura a carattere ospedaliera, com’era il costume delle congregazioni religiose che risiedevano a ridosso dei recinti cittadini: di questo ospedale ne fa pure menzione il cronista Guglielmo Ventura nel proprio testamento, redatto nell’anno 1310 ed inserito nel suo memoriale al capitolo 67, legando a suo favore soldi cinque astesi.

Nel periodo tra il 1320–1330 il Borgo di Santa Maria Nuova venne racchiuso nella seconda cerchia di mura detta dei borghigiani a sostituire un recinto di spalti e fossati presente fino a quel momento.

E’ in questo periodo che comincia l’espansione demografica del Borgo, a ridosso del recinto dei nobili ed ai due lati della via Maestra.

Si possono notare edifici nobili incastonati in un reticolato pressocchè continuo di case a schiera monofamiliari, dotate di orto e sedime sul retro, abitate da artigiani e popolani.

Le famiglie nobili dei Lupi, dei Lorenzi e degli Alione costruirono le dimore “estive” nel nostro Borgo. Il poeta Gian Giorgio Alione lo apostrofò nelle sue strofe col nome di Cavallon o Cavallaz, ed in seguito venne ribattezzato La Svizzera, forse perché si viveva più liberamente che nel resto dell’abitato cittadino.

Il nostro illustre sacerdote Don Stefano Robino (1867-1956), arciprete di Santa Maria Nuova, ipotizzò più suggestivamente che forse questa denominazione derivava perché l’Alione ed i suoi colti amici nobiluomini simpatizzanti del governo e della cultura francese del tempo amavano incontrarsi nel nostro borgo adottando usi e costumi d’oltralpe.

Nel XVI secolo, l’aumento demografico portò il Borgo di santa Maria Nuova ad essere tra gli agglomerati della seconda cerchia di mura, il più popoloso (oltre 1800 abitanti).

Non a caso vi si eleggono ancora quattro Capi d’Arme. Esso rappresenta, come gli altri borghi, una comunità socio–territoriale con confini estremamente precisi a capo del quale vi è un amministratore , il rettore, con carica annuale.

Nella prima metà del 1600, la guerra franco-ispanica, in seguito all’opposizione di Carlo Emanuele I di Savoia all’imperatore spagnolo, portò gli scontri anche sul suolo del Monferrato.

Per cinque volte gli scontri arrisero al Duca di Savoia, che fece risplendere maggiormente la sua fama ed il suo valore nel 1615 nel combattimento svoltosi proprio nella battaglia di Asti presso il rivo Valbrenta a ridosso delle mura del nostro Borgo. In questo frangente il Duca, appiedato per ben due volte, combattè per più di un’ora, con la picca in mano, alla testa della sua fanteria.

Questo  diede luogo alla convenzione conosciuta con il nome di Secondo trattato di Asti, concluso nella Certosa il 21 giugno 1615, in cui vennero imposte al nemico, condizioni assai gravose.

Tuttavia, per i seguenti cinquant’anni Asti venne dilaniata dalle guerre. Questo portò inevitabilmente alla distruzione di molti edifici del Borgo ed ad una riduzione della sua popolazione che raggiunse il minimo di 500 anime, nella seconda metà del XVII secolo.

A causa dell’invasione francese della Savoia nel XVIII secolo, le ingenti spese militari sostenute da Carlo Emanuele IV fecero sì che il duca chiedesse ed ottenesse dal papa Pio VI che il clero contribuisse alle spese della guerra, ma ciò non bastando, vennero soppresse parecchie Congregazioni religiose ed incamerati i loro beni.

Questa legge inesorabile travolse anche i nostri Lateranensi e l’Abbazia di S. Maria Nuova. Anche i loro possedimenti, dichiarati nazionali, furono posti in vendita all’asta pubblica nel 1798. E così, dopo 237 anni, si estinse in S. Maria Nuova la dignità Abbaziale. Questo sacrificio non servi a nulla: Carlo Emanuele il 6 dicembre 1798 fu costretto ad abdicare sui territori rimanenti della penisola italiana, e mantenne la sovranità unicamente sulla Sardegna.

Venuti i francesi di Napoleone Bonaparte ed instaurata la Repubblica Cisalpina in Piemonte, vi fu il totale spogliamento del patrimonio e di tutte le proprietà del soppresso Ordine Lateranense. Solamente il monastero rimase invenduto.

Restò così abbandonato fino all’anno 1804, quando la Commissione degli Ospizi del Comune di Asti ottenne il fabbricato per la nuova sede dell’Ospedale degli Infermi.

Passarono però ancora sei anni prima che il nuovo Ospedale aprisse le sue porte agli infermi, e fu solo il 29 Settembre 1810 che vi si poterono accogliere i primi malati.

Quei primi malati vi furono trasportati da un preesistente ospedale, chiamato di S. Marta, ubicato nella casa che fu della tipografia Vinassa sotto la protezione di S. Maria Scala Coeli, titolo avuto nel 1455 con la fusione di sei altri piccoli ospizi disseminati nei vari rioni della città.

 

Nel 1819, ebbe luogo la formazione dell’attuale Piazza Santa Maria Nuova,che prima era incorporata alla Chiesa sottoforma di giardino e fungeva anche da cimitero.

All’inizio del Novecento, in seguito anche al riassetto urbano della città con il definitivo completamento di Piazza Alfieri, ricominciò il processo di sviluppo ed espansione del nostro Borgo, che lo riportò a quella antica vocazione commerciale che aveva visto il suo fiorire nel periodo medioevale, segno di tenacia ed operosità che ha contraddistinto da sempre i nostri borghigiani